Nasce a cassino il 21 maggio del 1877 e muore, nella sua città risorta, il 26 novembre del 1959. Proviene da un’umile famiglia, infatti, il padre mastro Antonio è un semplice calzolaio, la madre Benedetta Gallozzi una calzettaia e rivenditrice di ortaggi. Frequenta prima il ginnasio di Cassino e poi con grandi sacrifici il liceo di Arpino, rinomata scuola classica. Conclude il suo percorso formativo presso l’università di Napoli, la Federico II e per mantenersi agli studi si impiegò come scrivano presso il tribunale di cassino. Dopo la laurea si stabilisce definitivamente a Cassino dove inizia la sua carriera di avvocato.

Durante la guerra si rifugia a  Valvori e da questo paese solare, il più panoramico del cassinate, ogni giorno osserva la devastazione della città, celata oltre che dalla solita nebbia anche dal fumo degli incendi. Alla fine della guerra ritorna nella città martire, definita così da lui stesso e riceve la nomina di commissario prefettizio e poi quella di sindaco dal prefetto di Frosinone Zanframundi si fa promotore della ricostruzione, famoso è il motto “una croce, una voce”: la croce è il peso della guerra che tutti portano sulle spalle, la voce è quella unanime che invoca la ricostruzione. Per indurre anche i collaboratori più dubbiosi a partecipare alla rinascita della città invia una lettera al presidente degli stai uniti Roosevelt.

E’ anche ricordato come il principe del foro cassinate per le sue arringhe “pirandelliane”. Teatrali sono i suoi interventi nelle aule di giustizia, dei veri e propri palcoscenici dove mette in scena delle requisitorie ricche di pathos. E’ l’emblema dell’ integrità morale, Infatti fa sue le tre aure regole di Ulpiano “honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”, vivere onestamente, non offendere l’altro, dare a ciascuno il suo. La sua ultima apparizione in pubblico avviene durante la visita ufficiale a Cassino appena ricostruita, il 30 Marzo del 1947, quando Enrico De Nicola gli si rivolge così: “Gaetà tu stai ccà! Tu sei Cassino”. E quasi come un “Cicerone” del dopoguerra, dopo aver ricoperto la carica di sindaco, si rifugia amareggiato nel suo otium letterario infatti ad Acquafondata, ispirato dalla selva del paese, scrive: “O solitaria tra gli abeti e i faggi di biancospino e d’edera fiorita capanna del mio cuore; o ne l’azzurro de’ vespri sereni obliar la vita, mentre le foglie stanche in pio sussurro salutano del sol cadente i raggi…”.

( photos)
1 Gennaio 1970

Note: To see the pictures in the original Picasa album, click here

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