INCONTRI A TEMA V EDIZIONE Martedì 10 aprile 2012 ore 16.30
Dr.ssa Marisa Del Maestro – Psicologa, terapia cognitivo – comportamentale
ALLA FONTE DEL DISAGIO
La sofferenza dei giovani ha molte tinte. A volte terribilmente oscure, altre meno e dai toni più sfumati. Ma quando gli adolescenti soffrono, dentro le loro vite, vi sono sempre storie di estrema solitudine e d’isolamento. Sovente in queste adolescenze c’è una matassa ingarbugliata di fili e parecchi nodi da sciogliere, si annidano paure irrisolte e relazioni complesse che si sono raggrumate nel tempo. Le manovre per uscire dal porto tranquillo della fanciullezza, dove il giovane a sostato a lungo, sono sempre complicate per tutti, ma quando un adolescente si trova a compierle da solo senza “un orecchio che sappia ascoltare” cioè senza qualcuno con cui condividere il timone, può prevalere un’angoscia densa e insidiosa oppure un’acuta paura del futuro e un temibile senso di inutilità. Questi sentimenti di solito si manifestano come malessere fisico, tristezza o vera e propria depressione, in qualche caso giungono fino al rifiuto di vivere.
Vi è ovviamente differenza tra il malessere fisiologico della crisi adolescenziale in crisi. Nel primo caso si tratta, di una fatica, la fatica di crescere, data del percorso di maturazione che è impegnativo, lento ma inevitabile; nel secondo invece vi è una una sofferenza che può essere acuta e bloccare il processo di evoluzione o può condurre nel vicolo cieco della disperazione che non ha soluzione.
In ogni adolescente domina la sensazione nascosta di non farcela ad affrontare i problemi e le difficoltà della vita. Di fronte a essi egli può indietreggiare o ritirarsi perchè non sa quali strategie servano per superarli, e può perdere la fiducia perché gli mancano gli strumenti per dare un senso alle cose. Ma alla fine, se non vi sono gravi compromissioni mentali o psichiche, anche dopo una lunga battuta d’arresto, di solito l’adolescente riprende il cammino, si rimette in moto.
Se dentro la sua esistenza invece vi sono vuoti e fratture, traumi mai sanati e soprattutto se mancano, come spesso sono mancate nel passato, le sponde contenitrici della famiglia e il calore degli affetti che non hanno alimentato le sue sicicurezze, allora il percorso può divenire aspro e duro. La solitudine, esperienza frequente tra i giovani che stanno male, travolge o paralizza e chi non è in grado di aprirsi un varco, nell’intricata boscaglia che sta attraversando, si perde soprattutto se non ha un sostegno o una guida.
L’adolescente solo, invece, è in questa situazione: smarrito. Tuttavia ve ne sono alcuni che scivolano e si fermano, che cadono lungo una scarpata e si fanno male. Quando questo accade è una sofferenza profonda quella che si manifesta, a volte devastante, irrimediabile o che comunque può richiedere interventi complessi e lunghi di ordine sia medico che psicologo. Molte volte è un disagio che rimane occultato e nascosto come un fiume sotterraneo che, all’improvviso, esce e sembra cogliere di sorpresa. Ma è solitamente l’impressione di coloro che non hanno saputo vedere, che non hanno ascoltato o erano distratti, che si sono dimenticati di seguire l’adolescente e guidarlo oltre la palude. Se si va, infatti, a osservare con più attenzione il disagio giovanile, non è difficile scoprire che si annida dentro le vite di quei giovani soli che si portano appresso uno spazio vuoto fatto di poche aspettative e limitati progetti. Lo troviamo sprofondato nelle maglie strette dei segreti di famiglia che l’adolescente, con il suo acuto malessere, tenta di rompere e di far esplodere.
Quando un adolescente soffre e sta male, la sua sofferenza può essere comunicata in mille modi diversi: attraverso il corpo e senza parole, con la condotta e i comportamenti disturbati e disturbanti. In ogni caso è sempre necessario saper leggere e cogliere per tempo quei segnali e tutti messaggi che egli invia senza lasciarli cadere nel vuoto. Perché questa assenza di attenzione è terribile, svuota la fiducia e annienta i sogni e le speranze. Molti dei ragazzi che finiscono nella depressione o si perdono nella violenza e nella distruttività dei gesti avrebbero avuto bisogno di trovare accanto, nel loro viaggio, adulti capaci di ascoltarli e invece non hanno trovato nessuno nelle immediate vicinanze. Avrebbero avuto la necessità di sapere che chi stava loro vicino, in particolare i genitori, fossero capaci di aiutarli a riempire quei vuoti di prospettiva con speranza e fiducia, o dessero loro la possibilità di far crescere i desideri non di soddisfare solo i bisogni.
Invece si sono trovati soli. La solitudine, appunto. Quella sensazione avvilente di non essere nei pensieri di nessuno, di non contare nulla, fa perdere l’orientamento e fa smarrire come in un deserto arido e torrido. La solitudine toglie energia, desidrata il corpo e la mente e genera una febbre pericolosa che a volte raggiunge livelli elevati e si rivela nel corpo, nei pensieri, nell’anima. Nella solitudine crescono la rabbia e l’odio verso se stessi e verso il mondo. Allora questi giovani imparano nel gruppo a condividere le proprie insoddisfazioni, il sabato sera si trasforma in trasgressione, gusto per il rischio, ricerca dell’anestesia emozionale. I riti diventano lo sballo e il divertimento a tutti i costi, le uscite serali e il senso d’onnipotenza coprono insicurezze e fragilità. Tutto viene agito con l’obiettivo di evitare il dolore mentale. Questa sorta di fuga dalla mente a lo scopo di distaccare il SE’ dal Pensiero, dall’emozione. Il sabato sera offre a questi giovani false alternative con gravi pericoli sia psichici che fisici. Il divertimento è un falso dio. La falsità viene confusa con la “bellezza”.
( photos)
1 Gennaio 1970
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Note: To see the pictures in the original Picasa album, click here
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