INCONTRI A TEMA V EDIZIONE Martedì 28 febbraio 2012 ore 16.30

Dr.ssa Enza Anzalone – Resp. Unità Semplice Dipartimentale AIDS, dirigente medico malattie infettive Ospedale “F. Spaziani” Frosinone

ABSTRACT DELLA CONFERENZA:

E’ una condizione morbosa ad eziologia virale le cui manifestazioni cliniche sono costituite da infezioni opportunistiche e da insolite forme di tumori maligni, dovute ad una grave compromissione della risposta immunitaria cellulo-mediata.

L’agente eziologico della patologia è HIV-1 appartenente alla famiglia dei Retrovirus; è un virus ad RNA isolato nel 1983 all’Istituto Pasteur di Parigi. Nell’1986 è stato individuato un secondo sierotipo, HIV-2 che presenta caratteristiche biologiche simili ma non identiche ad HIV-1, una minore attività patogena ed una diffusione limitata ad alcune nazioni dell’Africa Occidentale e ad altre nazioni caratterizzate da una notevole migrazione di soggetti provenienti dall’Africa Occidentale.

Le prime tracce sierologiche dell’infezione umana di HIV risalgono al 1959 in Africa Centrale; infatti la presenza del virus dell’HIV fu riscontrata in un soggetto proveniente da Kinshasa,città della Repubblica democratica del Congo.

L’ampia diffusione dell’infezione in Africa è correlata all’uso di pratiche vaccinali e terapie parenterali con siringhe “ riutilizzabili”. La diffusione per via sessuale è stata favorita dalla promiscuità e dalla prostituzione esplosa in seguito all’urbanizzazione massiccia degli anni 60. La tappa successiva costituita dalla diffusione del virus dall’Africa al continente europeo ed agli Stati Uniti, direttamente o attraverso i Carabi, può essere correlata ai notevoli flussi migratori dall’Africa Centrale che sono iniziati 35-40 anni fa.

HIV-1 è estremamente labile nell’ambiente esterno ed è rapidamente attivato da agenti fisici e chimici; pertanto non sono veicolo di infezione oggetti di uso comune come stoviglie, utensili, apparecchi telefonici, servizi igienici e gli insetti ematofagi .

L’infezione da HIV viene trasmessa esclusivamente mediante:

  • Rapporti sessuali, sia omo che eterosessuali;
  • Esposizione parenterale a sangue o emoderivati infetti;
  • Trasmissione verticale (materno-fetale, durante la gravidanza, al momento del parto o durante l’allattamento ).

TRASMISSIONE SESSUALE

L’infezione da HIV può essere trasmessa sia mediante rapporto omo che eterosessuale, ed in questi ultimi sia uomodonna che donna-uomo. Il rischio di infezione attraverso un singolo rapporto sessuale è basso e variabile:

  1. 0,1-3% nel rapporto anale recettivo
  2. 0,03-0,2% nel rapporto vaginale recettivo
  3. 0,03-0,1% nel rapporto vaginale insertivo.

Nella trasmissione omosessuale i fattori di rischio sono rappresentati dal numero di partners, la frequenza dei rapporti, con rischio maggiormente elevato nel rapporto anale ricettivo in particolare per rapporti che provocano lesioni della mucosa rettale. Un ulteriore fattore di rischio di notevole importanza è rappresentato dalla presenza concomitante di infezione sessualmente trasmesse quali sifilide, gonorrea, herpes genitalis.

Nella trasmissione etero-sessuale i fattori di rischio sono associati alla concomitanza di malattie sessualmente trasmesse, alla presenza di AIDS conclamato nel partner ed alla pratica di rapporti anali.

ESPOSIZIONE PARENTERALE A SANGUE O EMODERIVATI INFETTI

Il rischio di trasmettere l’infezione mediante trasfusione di sangue intero o emoderivati è molto elevato, superiore al 90%. Da quando è in atto lo screening tra i donatori, il rischio di contrarre l’infezione (soggetti falsi negativi o che effettuano la donazione nel periodo tra il contagio e la comparsa di anticorpi specifici, periodo finestra) è stato pressoché eliminato ed è attualmente stimato intorno allo 0,003%.

La trasmissione dell’ infezione da HIV tra tossicodipendenti avviene prevalentemente per esposizione parenterale a sangue infetto, mediante lo scambio di siringhe e di aghi. La quantità di sangue che viene inoculata attraverso l’uso di una siringa già utilizzata può variare da 10 a 100 micronl, corrispondenti a 0.6-6 IU (unità infettanti) nel soggetto asintomatico ed a 70-700 nel paziente AIDS. Il rischio di trasmissione per singolo episodio è stimato dello 0,6%.

La probabilità di contrarre l’infezione con le esposizioni occasionali a materiale infetto da parte del personale addetto all’assistenza di pazienti HIV positivi o che maneggino campioni biologici contaminati è molto bassa, dello 0,03%.

TRASMISSIONE VERTICALE

Può verificarsi nell’utero durante la gravidanza, nel corso del travaglio e del parto o durante l’allattamento. La maggior parte delle infezioni si trasmette alla nascita. La probabilità di trasmissione da madre a figlio oscilla tra percentuali alte in Africa (40%) a percentuali inferiori in Europa (11%). L’impiego di terapie anti-retrovirali durante la gravidanza, insieme ad altri interventi profilattici (parto cesareo ed allattamento artificiale) ha ridotto nei paesi dell’Europa occidentale la prevalenza al 2-3%.

PATOGENESI

Al contagio fa seguito un’intensa attività di replicazione di HIV che si accompagna ad elevati livelli di antigenemia e citolisi CD4 positivi (prima infezione); successivamente, entro un periodo compreso tra 1 settimana e 3 mesi, si instaura una risposta immune sia umorale, sia cellulo-mediata. Compaiono i linfociti T-citotossici ed anticorpi specifici. La risposta immune porta all’eliminazione del virus libero dal torrente circolatorio, ma non dalle cellule e dai tessuti che rappresentano i reservoirs del virus. Nonostante l’apparente scomparsa, HIV persiste in stato di quiescenza nei linfonodi, nelle cellule follicolari dendridiche, nei monociti-macrofagi, nel S.N.C, nei testicoli e nella prostata nei quali si è disseminato nella fase di viremia. Alla Fase acuta ed al successivo consolidamento della risposta immune, segue una fase di bassa replicazione virale e sostanziale conservazione del patrimonio immunologico. Questo periodo è definito di “incubazione” o di “ latenza” o di” quiescenza, peraltro solo apparente, in quanto nei tessuti linfoidi la replicazione di HIV permane. Il linfonodo rappresenta un microambiente favorevole alla replicazione virale. Infatti è ricco di cellule suscettibile all’infezione a lenta evoluzione (cellule dendridiche, macrofagi) le quali, quando infettate, richiamano linfociti CD4 positivi con il compito di cooperare alla risposta anticorpale anti-HIV. I linfociti CD4 attivati sono un facile bersaglio per HIV, e sono in grado di garantire un’intensa replicazione del virus; essi, a loro volta, infetteranno altre cellule attivate e richiamate nel microambiente linfonodale dalle citochine. La maggior parte dei linfociti infettati rimane imprigionato nella struttura linfoghiandolare; il numero di cellule infette circolanti rimane molto basso per un lungo periodo di tempo. La replicazione virale (a basso titolo ma persistente) con il tempo altera le caratteristiche morfologiche e funzionali dei linfonodi.

Nelle fasi avanzate di malattia si giunge ad un profondo sovvertimento della struttura dei linfonodi, che appare completamente scompaginata e non è in grado di trattenere linfociti attivati i quali invadono il torrente circolatorio.

Nel prolungato periodo di asintomacità si creano le condizioni per lo sviluppo, attraverso complessi meccanismi eziopatogenetici, del deficit dell’immunità cellulo-mediata che predispone all’insorgenza dell’AIDS.

SCHEDA DEL RELATORE

( photos)
1 Gennaio 1970

Note: To see the pictures in the original Picasa album, click here

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1 Gennaio 1970

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