INCONTRI A TEMA V EDIZIONE Martedì 21 febbraio 2012 ore 16.30
Dr.ssa Noemi Angelosanto – dirigente I livello Ematologia ospedale “F. Spaziani” Frosinone
ABSTRACT DELLA CONFERENZA:
Con il termine” linfoma” si indica un gruppo eterogeneo di neoplasie che hanno in comune l’origine dai linfociti, sottotipo di globuli bianchi coinvolti nella difesa immunitaria specifica contro agenti infettivi e cellule tumorali. I linfociti si dividono in risposta a un agente estraneo non solo ai fini della sua eliminazione ma anche per creare una memoria immunitaria nei suoi confronti. Nel linfoma la divisione dei linfociti inizia senza una causa apparente e diventa incontrollata. Fondamentalmente si distinguono linfomi che originano dalla espansione clonale di una cellula B, normalmente coinvolta nella produzione di anticorpi, e quelli originanti dall’espansione clonale della cellula T (nella variante cellula killer o cellula helper) o di una cellula NK (cellula killer nei confronti dei virus e cellule tumorali).
Oggi con studi immunofenotipici (su SVP o sospensione di cellule provenienti dal tessuto infiltrato) e immunoistochimici (sulla sezione del tessuto bioptizzato), nonché di biologia molecolare (ricerca con metodica PCR di espressione di geni normalmente espressi nelle cellule B o T), si può fare diagnosi certa di un dato istotipo di linfoma.
La prima distinzione che occorre fare in clinica nell’ambito dei linfomi riguarda la loro appartenenza al gruppo dei “linfomi Non Hodgkin” oppure “Hodgkin”. Tale distinzione è importante per la diversa radio e chemiosensibilità delle cellule linfomatose, nonché per la differenza prognostica, essendo la malattia di Hodgkin curabile nel 90% dei casi vs il 60% dei linfomi non Hodgkin. Nella malattia di Hodgkin è presente una cellula tumorale caratteristica, la cellula di Reed- Sternberg, della quale per oltre due secoli non è stata chiara l’origine. Oggi si sa che tale cellu la dalla caratteristica morfologia ad ”occhio di gufo” (cellula binucleata con nucleoli eosinofili prominenti), deriva da un linfocita B nel 98 % dei casi a da un linfocita T nel restante 2%. Nel tessuto infiltrato, essa è accompagnata da varie cellule reattive che rappresentano la maggioranza delle cellule componenti la massa tumorale e che determinano l’identificazione delle 4 varianti istologiche di HODGKIN classico (sclerosi nodulare, a deplezione linfocitaria, a cellularità mista, variante ricca in linfociti) e della variante a predominanza linfocitaria, che è considerata borderline tra una forma Hodgkin e non Hodgkin di linfoma. L’assenza della cellula di Reed – Sternberg identifica un linfoma non Hodgkin.
Di fronte a una diagnosi di linfoma non Hodgkin occorre definire l’istotipo, essendo annoverate in questo gruppo di neoplasie oltre 40 entità nosologiche che differiscono per caratteristiche istologiche, biopatologiche e cliniche. Tali neoplasie possono essere classificate nel gruppo dei linfomi indolenti o in quello degli aggressivi, essendo i primi caratterizzati da un decorso clinico più subdolo e lento, con tipico andamento cronico-recidivante e minore possibilità di definitiva eradicazione, i secondi da una maggiore aggressività e decorso più o meno rapidamente fatale in assenza di trattamento, ma potenzialmente guaribili.
Negli ultimi vent’anni la frequenza dei linfomi non Hodgkin si ètriplicata, con incidenza annuale di 55000 casi, rappresentano la neoplasia ematologica più frequente, e il 3% di tutti i tumori maligni; l’etàmediana di comparsa è65 anni, con incidenza crescente con l’avanzare dell’età anche se alcune forme aggressive si presentano a età più giovanili, con incidenza massima intorno ai 40 anni. Il linfoma di Hodgkin, con 7400 nuovi casi l’anno, ha un’ incidenza che presenta una distribuzione bimodale in base all’età con un primo picco a 30 anni e un secondo a 70 anni.
L’eziologia èignota, tuttavia un fattore di rischio importante per l’insorgenza dei linfomi è rappresentato dagli stati di immunodepressione (il post trapianto, la sindrome da immunodeficienza acquisita, le patologie autoimmunitarie, l’ipogammaglobulinemia congenita), l’infezione da virus dell’ epatite B e C, alcuni disordini cromosomici (atassia-teleangectasia). Del resto una patogenesi virale o infettiva è dimostrabile in molte sottoforme di linfoma essendo gli agenti più imputati:
EBV per il linfoma di Burkitt (variante africana), variante cellularità mista dell’Hodgkin, linfoma angiocentrico/extranodale a cellu le T/NK, disordini linfoproliferativi post trapianto, linfomatosi granulomatoide,
HTLV-1 per la leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto (endemico nel Sud del Giappone, Caraibi e Sud America),
HHV8 per il linfoma PEL (Primary effusion lymphoma),
HIV Linfomi AIDS-related,
Helicobacter Pylori Linfoma MALT dello stomaco,
Virus dell’epatite C Linfoma linfoplasmocitico.
La diagnosi di LINFOMA necessita di un approccio integrato che deriva da una stretta collaborazione tra specialisti clinici che si trovano di fronte al caso di “sospetto linfoma” (radiologo, ematologo, oculista, dermatologo…). Dato l’estremo polimorfismo dei quadri clinici alla presentazione, dall’adenopatia superficiale, all’ulcera gastrica, alla tumefazione oculare, e questo perché qualunque organo o tessuto può essere interessato, il cardine della diagnosi rimane l’esame istologico del pezzo bioptico.
L’emolinfopatologo oltre a definire sulla base della morfologia il sottotipo più o meno aggressivo di linfoma, grazie all’uso di anticorpi monoclonali e a tecniche enzimatiche, identifica la cellula di origine e il suo stadio maturativo, mentre studi di citogenetica molecolare sulle cellule tumorali forniscono un’informazione sulla prognosi e indirizzano il clinico nella scelta terapeutica. Alcuni marcatori genetici e/o immunologici sono sfruttati anche per il monitoraggio della risposta alla terapia come “malattia minima residua”.
La cellula di origine dei LNH nel 90% dei casi è il linfocita B, nel restante 10% dei casi è il linfocita T o NK , tale distinzione è di fondamentale importanza nella scelta terapeutica, per questo mantenuta nella attuale classificazione WHO delle neoplasie linfoidi, perché diversa è la sensibilità a chemioterapia e diversi sono i marcatori di linea espressi dalla cellula tumorale, potenziali target di una terapia citototossica immunospecifica.
IL PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO
Il sintomo più comune dei linfomi è il riscontro di una o più tumefazioni linfonodali, a crescita più o meno rapida a seconda che si tratti di una forma aggressiva o indolente. Nei linfomi aggressivi oltre al rapido diffondersi della malattia vi è nel 30% dei casi la presenza di sintomi sistemici (febbre, perdita di peso, prurito, sudorazione profusa notturna) e coinvolgimento extranodale (sede diversa dal linfonodo) con possibile coinvolgimento di qualsiasi organo. I linfomi indolenti hanno un decorso subdolo in assenza di sintomi, tanto che all’esordio sono quasi sempre a uno stadio avanzato. Alcuni linfomi insorgono primitivamente in sede extranodale senza coinvolgere linfonodi, essendo gli organi più frequentemente coinvolti il SNC, la cute, il testicolo, lo stomaco, il sistema scheletrico. Una volta fatta la diagnosi, lo step successivo è definire quale sia l’estensione di malattia, cioèla stadiazione e se ci sono fattori clinici con valore prognostico negativo. Il paziente viene sottoposto ai seguenti esami ematochimici e strumentali:
a) Emocromo, VES, LDH, β2 MICROGLOBULINA, QPE con proteine totali
b) Rx torace in 2 proiezioni
c) TC T.B con mdc, PET-TC T.B., ECOGRAFIA Total node- addome
d) Biopsia osteomidollare
e) Rachicentesi diagnostica (per ilinfomi aggressivi o con rischio di localizzazione al SNC)
f) Altro (es.EGDS o colonscopia per localizzazioni del tratto gastroenterico, visita ORL per localizzazioni nasali, laringee, ecc.).
Il più comune sistema di stadiazione attualmente in uso è quello di Ann Arbor, che prevede 4 diversi stadi:
I stadio: interessamento di una singola stazione linfonodale e/o estensione a organo vicino(E)
II stadio: 2 o più stazioni linfonodali dallo stesso lato del diaframma;
III stadio: interessamento di stazioni linfonodali sopra e sottodiaframmatiche;
IV stadio: coinvolgimento di un organo con o senza linfonodi (osso, polmone, fegato, ecc.).
I principali fattori prognostici sfavorevoli per i linfomi non Hodgkin sono l’età avanzata, il basso performance status, alti livelli di LDH, stadio avanzato (II-IV), coinvolgimento di sedi extranodali, numero elevato di sedi linfonodali coinvolte, alto valore dei globuli bianchi alla diagnosi. I suddetti parametri clinici vengono variamente combinati per calcolare l’indice prognostico nei diversi sottotipi di linfoma non Hodgkin: per quelli aggressivi si utilizza l’IPI, per i follicolari (indolenti) il FLIPI, per il mantellare il MIPI. Per il linfoma di Hodgkin èancora valido l’IPI di Hasenclever basato sulla presenza/assenza dei seguenti criteri: sesso maschile, stadio IV, Età >45, G.Bianchi > 15.000, Linfociti < 600, Hb <10.5g/dl, Albumina<4g/dl.
Per la cura dei linfomi ci si avvale di diverse armi terapeutiche principalmente costituite da chemioterapia, immunoterapia e radioterapia, variamente combinate a seconda del sottotipo di linfoma.
Il linfoma Diffuso A Grandi Cellule B (DLBCL), il più frequente dei linfomi diagnosticati nei Paesi Occidentali, ha un’ottima responsività alla combinazione immunochemioterapica R-CHOP (rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone), che pertanto rappresenta la terapia di I linea. Il rituximab è un anticorpo monoclonale diretto contro la molecola di superficie CD20 espressa dalla gran parte delle neoplasie linfoidi a cellule B; il suo utilizzo, diffuso da circa 10 anni, ha permesso di ottenere un notevole miglioramento delle risposte cliniche e della sopravvivenza nei pazienti affetti da queste malattie (75% di remissioni complete e 60% di guarigioni). Negli stadi precoci sono sufficienti 4 cicli R-CHOP seguiti da eventuale radioterapia locale se malattia bulky (diametro >5 cm dell’adenopatia), mentre negli stadi avanzati o con fattori di prognosi avversa sono necessari 8 cicli. Da ricordare che nei casi con presentazione clinica aggressiva (coinvolgimento del midollo osseo, tessuti paravertebrali, testicolo) o con localizzazioni al di sopra della linea pterigopalatina (orbita, palato, seni paranasali) bisogna effettuare almeno 4 iniezioni intratecali di chemioterapico per prevenire localizzazione meningea da parte del linfoma. Nei pazienti giovani che vanno incontro a una ricaduta è possibile effettuare una polichemioimmunoterapia di II linea (R-DHAP, R-IEV) con raccolta di cellule staminali emopoietiche e successivo autotrapianto. Nelle ricadute post autotrapianto rimane per i pazienti giovani l’alterna tiva valida dell’allotrapianto di midollo osseo da donatore, mentre per i piùanziani non vi èindicazione a causa dell’alta morbilità.
Il linfoma follicolare (FL), è il più frequente dei linfomi indolenti, rappresenta un 20-25% dei linfomi diagnosticati presso i paesi occidentali, con età mediana di insorgenza a 70 anni e andamento clinico tipicamente cronicorecidivante, presenta lunghe mediane di sopravvivenza, con necessità di ricorso alla terapia solo in presenza di “malattia sintomatica”, o in caso di localizzazioni extranodali, masse bulky, stadio avanzato. Il FL infatti presenta delle caratteristiche istologiche peculiari per il basso indice mitotico e la tendenza delle cellule neoplastiche (centrociti o centroblasti) a sovvertire la normale architet tura del linfonodo formando dei ”follicoli, con modalità di crescita più o meno aggressiva (I-II-III grado). La caratteristica distintiva del linfoma follicolare è l’overespressione da parte della cellula linfomatosa di una proteina antiapoptotica “bcl2”, più spesso come conseguenza della traslocazione cromosomica 14;18, che viene sfruttata in clinica non solo per la diagnosi ma anche per il monitoraggio della risposta molecolare alla terapia: i pazienti in cui si negativizza l’espressione del bcl2 mantengono più lunghe remissioni di malattia e maggiori probabilità di guarigione definitiva. Data la scarsa aggressività del FL nella gran parte dei casi è dimostrato che iniziare prima la terapia non porta a un allungamento della sopravvivenza dei pazienti. Nel caso di uno stadio iniziale in assenza di fattori prognostici sfavorevoli la terapia di scelta è la radioterapia, se invece il paziente presenta un IPI alto (prognosi sfavorevole) o uno stadio avanzato viene avviato a polichemioimmunoterapia secondo schema RCHOP per 6-8 cicli o FCR (Fludarabina, Endoxan, Rituximab) per 6 cicli e radioterapia sulle stazioni affette, se bulky. La recidiva necessita di terapia di seconda linea e autotrapianto di cellule staminali, nei limiti consentiti dall’età
Il linfoma mantellare (MCL) è un 7-8 % di tutti i linfomi a cellule B di nuova diagnosi, ha una mediana di insorgenza intorno ai 50 anni e presenta un andamento aggressivo con recidiva costante a tempi variabili dalla remissione. All’esordio si presenta in genere con linfadenopatie diffuse, coinvolgimento del midollo osseo e di sedi extranodali, tipicamente cutanee e gastrointestinali. La peculiare caratteristica genetica del linfoma mantellare è la presenza di una iperespressione della CICLINA D1, proteina regolatoria del ciclo cellulare, attribuibile a una traslocazione tra il cromosoma 11 e il cromosoma 14. Anche in questo caso, oltre che per la diagnosi, la determinazione mediante PCR della positività di tale aberrazione è sfruttata per il monitoraggio della malattia minima residua dopo trattamento. Nel linfoma mantellare il trattamento R-CHOP non è efficace, ma è necessario uno schema più intensificato con l’aggiunta di citarabina ad alte dosi (R-DHAP, Hyper- CVAD: Rituximab, Ciclofosfamide, Vincristina, Desametazone, Doxorubicina, alte dosi di Citarabina e Methotrexate) e l’autotrapianto di cellule staminali nei pazienti piùgiovani. Nei pazienti in recidiva dopo il trapianto è possibile prendere in considerazione nuovi farmaci chemioterapici (Bendamustina) o immunomodulatori (Lenalidomide). Nei pazienti anziani rimane prevalente l’uso di 6 cicli R CHOP + radioterapia su siti coinvolti.
LINFOMA DI BURKITT
È una forma molto aggressiva di linfoma non Hodgkin, inizialmente identificato nei bambini africani con diffusione endemica, e localizzazione mandibolare-mascellare, successivamente riscontrato anche nei Paesi Occidentali. Il tipo africano di BL è strettamente associato a infezione da Epstein-Barr virus (EBV), causa di mononucleosi infettiva, mentre la variante Nord-Americana di BL non è correlata a EBV, ma presenta sempre la caratteristica abnorme espressione dell’oncogene c -myc. Il linfoma di Burkitt è più frequente nei maschi e può manifestarsi con improvviso ingrossamento linfonodale in assenza di dolore a livello delle stazioni linfonodali superficiali, a crescita molto rapida oppure, come più frequentemente si osserva, con interessamento addominale ( a volte sono coinvolti testicoli, ovaie, midollo spinale). La prognosi è severa: se non rapidamente trattato è fatale, mentre la risposta al trattamento non esclude la recidiva. Il trattamento è polichemioterapico intensivo con la combinazione alternata di Ciclofosfamide, Ifosfamide, Vincristina, Citarabina, Doxorubicina, Methotrexate e Etoposide. E’indispensabile anche terapia intratecale per ridurre il rischio di localizzazione cerebrale.
I LINFOMI A CELLULE T:
Vorrei fare un cenno a parte sui Linfomi a cellule T che rappresentano un gruppo estremamente eterogeneo di neoplasie, con frequenza variabile dei sottotipi a seconda dell’area geografica e origine etnica. Nei Paesi Occidentali sono rari (15% dei linfomi) e si raggruppano in cutanei, trattati con farmaci immunologici diretti contro molecole di superficie della cellula T, trattamenti locali radianti o con fotoferesi (pertinenza dermatologica) e linfomi sistemici molto aggressivi, con prognosi severa e scarsa responsività agli schemi utilizzati per i linfomi a cellule B. Nuovi farmaci proposti per il trattamento dei linfomi a cellule T che hanno manifestato una certa attività anti proliferativa includono la gemcitabina, analogo nucleotidico, usata da sola o con altri farmaci; un immunotossina diretta contro il recettore dell’interleukina 2 (denileukin); gli anticorpi monoclonali anti CD 52 (alemtuzumab) e anti CD25.In fase di studio è il dasatinib che sembrerebbe avere un ruolo nel bloccare l’espressione del TCR (T -CELLRECEPTOR), marcatore di specificità della cellula T.
IL LINFOMA DI HODGKIN
Il linfoma di Hodgkin (HL) è una malattia estremamente radio e chemiosensibile per la quale è ormai ben definita l’efficacia di schemi chemioterapici includenti adriblastina, bleomicina, vinblastina, deticene (ABVD), che consentono l’ottenimento della risposta completa nella quasi totalità dei casi; è tuttavia indispensabile, nella scelta del programma terapeutico, suddividere i pazienti in base allo stadio di malattia e alla presenza o meno di fattori prognostici negativi.
I principali trials clinici per la terapia dei HL suddividono i pazienti in 3 GRUPPI:
a) Stadi iniziali (I-IIA) a prognosi favorevole;
b) Stadi iniziali (I-IIA) a prognosi sfavorevole;
c) Stadi avanzati (IIB-III-IV).
Nei pazienti del gruppo a), i vari studi dimostrano che l’associazione di pochi cicli ABVD (3) alla radioterapia “involved field”(IF), cioèsolo sulle stazioni affette, dose totale 30 Gy, è in grado di garantire non solo il 99% delle remissioni complete, ma anche delle lunghe sopravvivenza libere da malattia, con aspettativa di vita sovrapponibile alla popolazione sana.
Nei pazienti del gruppo b), si conferma l’efficacia di 4 cicli ABVD+Radioterapia IF 30 Gy + una dose aggiuntiva di 10Gy in caso di adenopatia “bulky”, con remissioni in oltre l’80% dei pazienti.
Nei pazienti in stadio avanzato o localmente esteso (c), lo schema terapeutico che ha mostrato maggiore efficacia è il BEACOPP intensificato (bleomicina, etoposide, adriamicina, ciclofosfamide, vincristina, procarbazina) effettuato per 8 cicli totali, anche se sovrapponibili risultati sono raggiunti con 6-8 cicli di ABVD, mentre la radioterapia non sembra migliorare la sopravvivenza libera da malattia, per cui trova indicazione dolo nei pazienti che mantengono una positività residua alla PET dopo chemioterapia.
Per i pazienti che manifestino progressione di malattia durante chemioterapia, o che recidivino entro un anno dal raggiungimento della stessa o che non riescano a raggiungere una remissione completa, vi è indicazione a chemioterapia ad alte dosi e autotrapianto di cellule staminali. Anche nei pazienti risultati resistenti a una o più linee chemioterapiche la chemioterapia ad alte dosi seguita da autotrapianto consente l’ottenimento di una buona risposta.
In conclusione, la terapia dei linfomi ha fatto passi da gigante, anche nei pazienti più anziani o con fattori prognostici sfavorevoli. La diagnosi corretta e precoce consente non solo alta probabilità di remissione dal linfoma, ma anche prospettive di una aspettativa di vita paragonabile a quella di una popolazione sana di pari età. Tutto ciò è reso possibile dalla introduzione di terapie di supporto trasfusionale, di profilassi antinfettiva, ma soprattutto alla migliore definizione di fattori prognostici che permettono di stratificare i pazienti in varie categorie di rischio prima di iniziare la terapia, onde poter scegliere il regime terapeutico meno tossico a parità di efficacia.
( photos)
1 Gennaio 1970
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Note: To see the pictures in the original Picasa album, click here
( photos)
1 Gennaio 1970
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