INCONTRI A TEMA III EDIZIONE Martedì 23 febbraio 2010 – ore 16,30
Dr. Ottavio Di Marco – neuropsichiatra, Ospedale di Sora
ABSTRACT DELLA CONFERENZA:
Di fronte ad un paziente che lamenta cefalea quasi quotidiana, ed assume analgesici da lungo tempo, viene naturale pensare che sia la cefalea la causa dell’assunzione dei farmaci e non viceversa.
Questo è il motivo per cui il legame fra abuso di analgesici e comparsa di cefalea è stato per lungo tempo misconosciuto.
La possibilità che la cefalea abbia una causa iatrogena va presa invece in attenta considerazione dal momento che, come i dati disponibili suggeriscono, l’uso eccessivo di antiemicranici, sia da banco che da prescrizione, può in realtà peggiorare e perpetuare il mal di testa, causando la cosiddetta cefalea da abuso di farmaci. L’importanza clinica di questo problema viene confermata dal numero rilevante di studi che riportano una significativa riduzione della frequenza di comparsa e della gravità della cefalea in seguito alla sospensione dei farmaci analgesici ed antiemicranici. Studi di popolazione riportano una prevalenza di cefalea da abuso intorno al 2 – 4% nella popolazione generale. Quasi tutti i pazienti che sviluppano cefalea da abuso di farmaci presentano una storia di mal di testa di altro tipo (ad esempio emicrania, cefalea tensiva), che li ha indotti ad iniziare ad assumere analgesici e antiemicranici, e la loro storia di mal di testa è di vecchia data. Infatti, occorrono in media 5 anni dalla comparsa delle prime cefalee e l’inizio di un ricorso regolare ad antiemicranici e possono essere necessari altri 5 anni perché si sviluppi uno stato cefalalgico quotidiano. Questo dato inoltre è coerente con l’ipotesi che siano altri tipi di mal di testa che si trasformano in cefalea da abuso, ipotesi suffragata anche dal fatto che questo effetto non si manifesta in chi assume ad esempio analgesici per dolori diversi (ad es. artrosici).
Il meccanismo attraverso il quale l’uso cronico di farmaci a dosi elevate può trasformare una cefalea primaria in una cefalea indotta da abuso non è noto. Gli studi suggeriscono che alla base di questo processo vi è una alterazione del ciclo metabolico centrale della serotonina che contribuisce così al peggioramento della cefalea.
La caratteristica principale della cefalea da abuso di farmaci è quella di essere quasi permanente.
E’ proprio questa assenza di intervalli liberi dal dolore che consente di distinguerla con facilità dalla crisi emicranica. Anche il tipo di dolore si differenzia: mentre quello emicranico è pulsatile e lancinante, il dolore cefalalgico è un dolore diffuso come di cerchio alla testa.
A volte può risultare più difficile distinguerla dalla cefalea tensiva.
Quest’ultima di solito insorge progressivamente, dura parecchie ore, a volte anche uno o due giorni e si ripresenta a intervalli più o meno regolari ma a volte l’insorgenza diviene più frequente tanto da presentarsi più o meno costantemente. In questi casi la diagnosi si basa su valutazioni cronologiche.
Solitamente sono le donne, fra i 35 e i 60 anni, che presentano anche segni più o meno netti di depressione o di ansia, le pazienti candidate a sviluppare cefalea iatrogena. Il problema si può presentare anche nei bambini: paracetamolo, paracetamolo + codeina e ibuprofene sono stati i farmaci utilizzati in alcuni dei casi segnalati.
Poiché la fisiopatologia della cefalea d abuso di farmaci non è nota, è più l’esperienza che l’evidenza scientifica a suggerire il trattamento che consiste innanzitutto nella sospensione di tutti gli antiemicranici. Questo “divezzamento” comporta nei primi giorni un forte aumento delle cefalee. Circa un terzo dei pazienti manifesta anche nausea, vomito, ipersudorazione e insonnia; nel 10-20% dei casi compaiono ansia, tachicardia e tremori; più raramente, vertigini, allucinazioni e incubi.
Tutti questi sintomi scompaiono riprendendo l’assunzione dei farmaci che hanno indotto la dipendenza.
Perseverando nell’ “astensione farmacologica” i sintomi dello stato iperalgico scompaiono progressivamente in due settimane circa. I metodi proposti per realizzare questo divezzamento da analgesici sono svariati ma non adeguatamente validati. In alcuni casi si può procedere ambulatorialmente ad una riduzione progressiva del dosaggio degli analgesici nell’arco di un mese, in altri deve ricorrere ad una ospedalizzazione di 8-15 giorni. Sono state proposte anche tecniche non farmacologiche, in particolare la stimolazione elettrica, ma non esistono studi controllati che ne dimostrino l’efficacia. Qualsiasi sia il metodo utilizzato, la maggior parte degli autori insiste sulla necessità di instaurare in questa fase un trattamento preventivo.
( photos)
1 Gennaio 1970
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